L’emergenza Covid-19 sta causando una riduzione dell’attività economica senza precedenti. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha previsto che 1,6 miliardi di individui nel mondo rischia di perdere il posto di lavoro a causa della crisi. Circa 47 milioni di datori di lavoro (cioè il 54% a livello planetario), operano nei settori più colpiti, vale a dire manifatturiero, alberghiero, ristorazione, commerciale e immobiliare.
Le risposte adottate dai diversi Stati non sono sempre uniformi e talvolta si discostano considerevolmente.
Nel complesso, a fronte del violento e inevitabile incremento della disoccupazione, già in corso nella stragrande maggioranza dei Paesi e solo posticipato nei pochi altri che prevedono misure di conservazione forzata dei rapporti di lavoro, si è assistito ad un necessario potenziamento del sistema di ammortizzatori sociali. In tale scenario, l’approccio adottato dalle principali economie mondiali sembrerebbe riflettere i lineamenti storico-culturali di appartenenza.
La Cina, primo Paese ad essere colpito dal contagio, ha introdotto misure limitative per le imprese, vietando il licenziamento dei lavoratori positivi al virus (anche se vi è il solo sospetto), nonché dei lavoratori che siano stati in contatto con individui contagiati e che siano impossibilitati a prestare la propria attività a causa del lockdown . Tuttavia, nel caso in cui l’azienda dovesse trovarsi in difficoltà, è ammessa la possibilità di negoziare direttamente con i dipendenti una riduzione dei livelli retributivi, evitando le resistenze sindacali, praticamente neutralizzate dalla totale assenza di dialogo tra le parti sociali.
In Europa, l’ordinamento italiano e spagnolo , allo scopo di scongiurare aumenti eccessivi della disoccupazione, hanno introdotto il divieto di licenziamenti per motivi oggettivi connessi alla crisi da COVID-19, oltre ad aver rafforzato ed esteso gli ammortizzatori sociali già esistenti. La Germania ha semplificato l’accesso a programmi di riduzione dell’orario di lavoro ed ha introdotto una disciplina speciale per il rimborso dei contributi previdenziali versati dalle aziende . Analogamente, l’ordinamento francese ha incrementato gli incentivi economici per le imprese che mantengono i propri lavoratori, garantendo finanziamenti a copertura delle retribuzioni eccedenti sino a 4,5 volte i livelli minimi (per retribuzioni superiori, la parte eccedente rimane a carico del datore) . In Portogallo è stata invece introdotta una procedura di licenziamento semplificato, tesa a fornire un sostegno immediato ai datori di lavoro e ai lavoratori, in caso di chiusura totale o parziale dell’attività o calo del fatturato del 40% .
Il Regno Unito, dal canto suo, ha predisposto programmi di conservazione dei posti di lavoro (c.d. Job Retention Schemes) mediante riduzione dell’attività lavorativa o sospensione per brevi periodi, con conseguente riduzione o sospensione della retribuzione. Si tratta di misure orientate principalmente alla protezione del sistema imprenditoriale.
Pertanto, nel vecchio continente sembra prevalente l’approccio teso alla conservazione dei rapporti di lavoro o quantomeno alla attenuazione di un aumento eccessivo della disoccupazione, nel tentativo di preservare sia la capacità produttiva che il capitale umano, ponendo le condizioni per una auspicabile e rapida ripartenza.
Diversamente, il sistema statunitense, rispetto a quello europeo, ha previsto strumenti caratterizzati da maggiore entità, incisività ed immediatezza, favoriti oltretutto dalla canalizzazione in programmi di assicurazione già esistenti. Tale difformità risiederebbe nella diversa impostazione americana che, essendo strutturalmente orientata ad evitare eccessive limitazioni della libertà imprenditoriale, genera la consapevolezza di una imminente ed ineluttabile crescita esponenziale della disoccupazione e della conseguentemente necessità di predisporre ingenti misure per attutirne l’impatto.
a cura di Federico Pisani – Avvocato e Dottore di Ricerca dell’Università degli Studi di Padova