Controllo datoriale attraverso GPS fuori dall’orario di lavoro: una sentenza innovativa della Cassazione spagnola

La Cassazione spagnola, sezione lavoro, (Sala de lo Social del Tribunal Supremo español) – con la sentenza del 15 settembre del 2020, n. 766 – si è recentemente pronunciata sulla validità dei dati ottenuti mediante un dispositivo di geo-localizzazione installato nell’automobile aziendale, anche quando essi sono relativi ai movimenti realizzati dal dipendente al di fuori dell’orario di lavoro.  Si tratta di una decisione di particolare rilievo, posto che, per la prima volta, la Cassazione si pronuncia sul potere datoriale di controllo a distanza esercitato attraverso sistemi di GPS a seguito della promulgazione della Ley Orgánica del 5 dicembre 2018, n. 3 di Protezione dei Dati e Garanzia dei Diritti Digitali.

Infatti, l’art. 90 di tale legge autorizza il datore di lavoro al trattamento dei dati ottenuti a mezzo di sistemi di geo-localizzazione con la finalità di controllare l’attività dei lavoratori privati o dei pubblici dipendenti, sempre e quando però tali attività si realizzino nell’ambito delle ipotesi legislativamente individuate e nel rispetto dei limiti previsti dalla legge ai poteri datoriali direttivo e di controllo. In tali casi, inoltre, l’imprenditore deve espressamente informare, in modo chiaro e inequivoco i lavoratori e i loro rappresentanti, circa l’esistenza e le caratteristiche di tali dispositivi, segnalando altresì il possibile esercizio dei diritti di accesso, rettifica, limitazione e soppressione del trattamento, e rispettando, in ogni caso, il diritto alla riservatezza, conformemente a quanto stabilito dall’art. 20-bis dello Statuto dei Lavoratori spagnolo.

Al riguardo, la sentenza in commento, dà contezza dell’importanza dei diritti fondamentali “non specifici”, riconosciuti nell’ambito delle relazioni industriali spagnole, ricordando la giurisprudenza costituzionale che ne garantisce la piena effettività all’interno del rapporto di lavoro, non potendo questi ultimi essere del tutto eliminati, seppure talvolta subiscano talune restrizioni a causa dell’esercizio del potere organizzativo e di controllo del datore di lavoro.

Segnatamente, la Corte considera l’impatto dei sistemi di geo-localizzazione sul diritto del lavoratore alla “riservatezza” ex art. 18, co. 1 della Costituzione spagnola (d’ora in poi, CE), nonché sul diritto alla “protezione dei dati personali” (art. 18, co. 4 CE) che, pur essendo tra loro intimamente connessi, ricevono una protezione costituzionale autonoma e indipendente.

Con riferimento al contenuto della “riservatezza”, la Cassazione ricorda gli argomenti addotti dalla Corte Costituzionale spagnola a fondamento della tesi secondo cui si tratta di “un concetto di carattere oggettivo o materiale, mediante il quale l’ordinamento giuridico designa e attribuisce protezione all’aria che ognuno riserva a s stesso o alle persone a sé intime”, in definitiva, è “un ambito riservato della vita delle persone escluso dalla conoscenza da parte di terzi contro la propria volontà” (v., in questo senso, le sentenze del Tribunal Constitucional del 17 gennaio 2002, n. 10;  del 30 giugno 2003, n. 127;  del 2 novembre 2004, n. 189).

Per quanto riguarda la “protezione dei dati personali”, tale diritto fondamentale non circoscrive la propria portata alla tutela della sfera di intimità del lavoratore, bensì presenta un ambito di applicazione più ampio che si estende alla protezione di qualsiasi tipo di dato personale” (cfr. Tribunal Constitucional, sent. 30 novembre 2000, n. 292).

Una volta individuata la dimensione costituzionale di tali diritti, la Corte di Cassazione spagnola ricorda che l’uso datoriale dei mezzi informatici presuppone l’adempimento da parte dell’imprenditore dell’obbligo di informare il lavoratore sugli strumenti tecnologici presenti all’interno dell’azienda e attraverso i quali si eserciterà il controllo, al fine di rendere verificabile il loro corretto utilizzo; di modo che soltanto la previa acquisizione da parte del lavoratore di tali informazioni consentirà al  datore di lavoro di esercitare legittimamene il potere di controllo a distanza sull’attività dei dipendenti attraverso tali sistemi.

Di conseguenza, se il datore di lavoro vieta, in modo totale o parziale, l’utilizzo dei dispositivi aziendali per fini personali, tale condotta – ove posta in essere dal lavoratore – diventa illecita, non potendosi obbligare l’imprenditore ad accettarla o a non esercitare il proprio controllo su di essa.

Nel caso che ne occupa, era stato installato un dispositivo di geo-localizzazione nell’auto aziendale posta a disposizione del lavoratore, il quale avrebbe potuto utilizzare tale veicolo esclusivamente per svolgere l’attività lavorativa, essendosi dato ordine espresso di limitarne l’uso nell’ambito dell’orario di lavoro giornaliero, con esclusione della possibilità di fare ricorso all’auto per ragioni personali. Dai dati raccolti attraverso il geo-localizzatore, risultò che il lavoratore aveva utilizzato il veicolo (o aveva consentito che altre persone lo utilizzassero), al di fuori dell’orario di lavoro, nonché durante il periodo di sospensione del rapporto per malattia; tutti momenti questi ultimi in cui il GPS non avrebbe dovuto rilevare alcun movimento da parte dell’automobile in questione. Tale circostanza ha dimostrato una grave e colpevole inosservanza delle direttive datoriali, nonché la trasgressione della buona fede contrattuale, giustificando il licenziamento disciplinare del lavoratore.

Secondo la Cassazione, la prova in tal modo ottenuta non determina una violazione dei predetti diritti fondamentali (di riservatezza e protezione dei dati personali) per le seguenti ragioni: da un lato, nel caso di specie, era stata espressamente impartita la direttiva di non utilizzare l’auto aziendale per fini personali al fuori dell’orario di lavoro; dall’altro, il lavoratore sapeva, in quanto era stato sul punto previamente informato, che l’automobile era geo-localizzabile attraverso un GPS. Pertanto, il corretto adempimento degli obblighi di previa informazione e comunicazione da parte del datore di lavoro esclude l’aspettativa di riservatezza del lavoratore nonché la sussistenza di un’indebita ingerenza datoriale nella sfera privata e di intimità di quest’ultimo,  poiché i dati rilevati riguardano “esclusivamente l’ubicazione e i movimenti del veicolo di cui il lavoratore era responsabile e che avrebbe dovuto utilizzare in modo conforme a quanto stabilito dall’accordo a tal fine concluso con il datore di lavoro.

In conclusione, la Cassazione spagnola avalla la prassi aziendale di controllare l’attività produttiva del lavoratore mediante dispositivi di geo-localizzazione, sempre e quando:

a) essa superi il triplice vaglio di idoneità, necessità e proporzionalità, individuato dalla Corte Costituzionale;

b) il lavoratore sia informato previamente, in modo chiaro e dettagliato, sull’installazione dei relativi strumenti e sul fatto che gli stessi saranno utilizzati per esercitare il controllo della sua attività lavorativa e, infine,

c) tale controllo non si estenda ad aspetti della vita privata del lavoratore, in violazione del suo diritto alla riservatezza.

 

a cura di Roberto Fernández Fernández, Professore Associato di Diritto del Lavoro e della Previdenza Sociale. Universidad de León

 

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