Cile: la prima sentenza che qualifica i riders come lavoratori subordinati

La diffusione capillare del lavoro tramite piattaforma sta nuovamente disegnando le frontiere del Diritto del Lavoro. Dal punto di vista della qualificazione, questa forma di lavoro è stata inizialmente collocata in una zona grigia nella maggior parte dei paesi. Tuttavia, siamo stati tutti testimoni della vertiginosa evoluzione degli approcci giurisprudenziali e legali a diverse latitudini, che ha finito per rafforzare l’eterna tensione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. E anche se a volte potrebbe sembrare il contrario, l’argomento in questione è ben lungi dall’essere risolto.

In Cile, il Diritto del Lavoro ancora non fornisce risposte certe al fenomeno, che nondimeno è molto presente e si estende a dismisura nella nostra economia. La pandemia e gli effetti deleteri che ne sono derivati sul piano occupazionale hanno peraltro fatto aumentare in modo significativo il numero di persone che forniscono servizi tramite piattaforme e hanno messo in evidenza la precarietà di questi lavori (insicurezza, instabilità e insufficienza di reddito). La questione è particolarmente delicata se si considera il coinvolgimento di gruppi di lavoratori che avevano già una posizione debole sul mercato del lavoro (giovani, migranti, disoccupati).

Diversi sono i progetti di legge presentati in materia, e vale la pena ricordarne almeno due. Il primo (Boletín nº 12.475-13, 2019) mira a introdurre una disciplina ad hoc del contratto di lavoro tramite piattaforme digitali, incentrandosi sulla regolazione del legame giuridico tra lavoratori e imprese che gestiscono le piattaforme, e più precisamente su quelle «work on demand», optando per qualificare in termini di subordinazione il relativo rapporto. Il secondo (Boletín n° 13.496-13, 2020) mira a riconoscere le garanzie di base alle persone che forniscono servizi tramite piattaforme digitali, seppure disconosca la natura subordinata del rapporto.

D’altra parte, a differenza di altri paesi, in Cile è ancora ridotto il relativo contenzioso, che perlopiù si aggira intorno a una trentina di giudizi. La prima sentenza in materia (RIT O-1388-2015, del 2º Juzgado de Letras del Trabajo de Santiago) ha escluso la natura subordinata del rapporto tra il rider e Uber, riconoscendo soltanto l’esistenza di: «una sorta di comunità di choferes, che hanno il permesso di effettuare trasporti privati di passeggeri, e si uniscono all’azienda sia come persone fisiche che giuridiche con i propri veicoli; e l’impresa, d’altra parte, fornisce loro il supporto tecnologico che consente di attrarre clienti attraverso un’applicazione del cellulare per mobilitarli da un lato all’altro».

Eppure, dal 2019 (a seguito soprattutto dei ricorsi presentati dai rider di Uber e Pedidos Ya ai Tribunali delle città di Santiago e Concepción) è stato fortemente rilanciato l’interesse giurisprudenziale in materia, ravvivandosi il dibattito sui profili di maggiore complessità. In primo luogo, particolare interesse hanno suscitato due ricorsi, presentati nel primo semestre del 2020 da un gruppo rider di Pedidos Ya. Con tali azioni collettive (RIT T-980-2020, del 1º y 2º Juzgado de Letras del Trabajo de Santiago), ancora pendenti, i ricorrenti chiedono sostanzialmente il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro, il pagamento delle indennità previdenziali e assistenziali dovute, e la dichiarazione dell’antisindacalità della condotta datoriale e, dunque, dell’illegittimità dei relativi licenziamenti (che sarebbero stati motivati, tra l’altro, dalla volontà di reprimere l’intenzione dei rider di creare un sindacato).

Oggi, in Cile, al centro del dibattito dottrinale e giurisprudenziale in materia vi è proprio la sentenza in epigrafe (RIT M-724-2020), pronunciata il 5 ottobre scorso dal Tribunale, sezione Lavoro, di Concepción. Segnatamente, il giudice del lavoro cileno è stato chiamato ad accertare la natura del rapporto di lavoro e, conseguentemente, la legittimità del licenziamento del ricorrente (ancora una volta un fattorino di Pedido Ya). Pur trattandosi di una sentenza di merito, che è già stata impugnata dalla società Pedido Ya, essa è di grande rilevanza, in quanto è la prima sentenza in Cile che riconosce la natura subordinata del rapporto dei lavoratori tramite piattaforma.

Nella sentenza de qua si legge infatti che l’idea tradizionale di subordinazione «deve essere superata proprio dall’esistenza di queste piattaforme tecnologiche la cui dinamica è completamente diversa (…)». Aggiunge che la libertà del rider invocata dall’impresa «è apparente, essendo in definitiva falsa, poiché sotto questa libertà di connettersi si cela la sanzione di essere declassato, di non poter scegliere il turno più remunerativo, potendo il rider essere persino estromesso dalla piattaforma; l’attore non ha neppure libertà su come svolge la sua funzione, poiché è vincolato alle istruzioni che gli vengono impartite dalla società convenuta e viene sempre controllato per verificare se assolve il suo compito secondo tali istruzioni, essendo punito in caso di inadempimento, con un rating basso che finisce per influenzare le relative remunerazioni».

Dopo un’analisi dettagliata sulla sussistenza, nel caso di specie, di taluni evidenti indici sintomatici della subordinazione, il Tribunale di Concepción conclude affermando che «si tratta di un modo nascosto di esercitare il controllo sull’attore, fissare l’orario di lavoro e la retribuzione associata al rispetto apparentemente volontario delle norme che il datore di lavoro ha fissato unilateralmente e che non sono altro che la manifestazione del vincolo di subordinazione e di dipendenza».

La sentenza in commento si basa su criteri ampiamente sviluppati in altre pronunce straniere: da un lato, il rifiuto dell’autonomia (danni o penalità, uso di una pseudo-libertà, assoggettamento a varie manifestazioni del potere datoriale), e dall’altro, l’estraneità tipica della subordinazione.

In conclusione, i problemi posti dal lavoro tramite piattaforma vivono un momento di particolare fermento in Cile. La pandemia, la proliferazione di sentenze straniere che inevitabilmente influenzano il convincimento anche dei nostri giudici, l’organizzazione e le azioni collettive dei rider (a livello locale e internazionale), i progetti di legge in corso e il nuovo scenario giurisprudenziale, sembrano essere segni inequivoci del fatto che «è giunto il momento di mettere il campanello al gatto», anche in questo angolo del Sud del Mondo.

 

A cura di Rodrigo Palomo Vélez, Professore di Diritto del Lavoro – Preside della Facoltà di Scienze Giuridiche e Sociali della Universidad de Talca (Chile).

 

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