Licenziamento della lavoratrice madre e cessazione dell’attività dell’azienda

Con la sentenza in esame, il Tribunale di Vicenza ha affermato la necessità di adottare una interpretazione restrittiva e rigorosa dell’ipotesi di «cessazione dell’attività dell’azienda», nella quale, ai sensi dell’art. 54, comma 3, lett. b), d.lgs. n. 151/2001, non trova applicazione il divieto di licenziamento della lavoratrice madre.

Nel caso di specie, una lavoratrice aveva impugnato il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, intimatole nell’ambito di una procedura di cambio di appalto prima che fosse decorso un anno dalla nascita del figlio.

Aderendo alla tesi della ricorrente, l’adito Tribunale ha escluso che la perdita dell’appalto possa essere qualificata alla stregua di «cessazione dell’attività dell’azienda» a cui la lavoratrice è adibita. Secondo la sentenza, infatti, l’art. 54, comma 3, lett. b), d.lgs. n. 151/2001 «è di stretta interpretazione e riguarda l’ipotesi di cessazione dell’attività dell’intera azienda, in quanto pone un’eccezione al principio generale (divieto di licenziamento della lavoratrice madre entro un anno dalla nascita del figlio) e quindi deve essere interpretata in modo restrittivo e rigoroso, non dandosi luogo all’interpretazione analogica».

La pronuncia ha altresì rigettato l’istanza, formulata dalla datrice di lavoro, di autorizzazione alla chiamata in causa della società che era subentrata nel contratto di appalto, la quale sarebbe stata tenuta ad assumere la lavoratrice in forza della clausola sociale prevista dal CCNL applicato. A tal proposito, il giudice ha rilevato che l’oggetto del giudizio consiste unicamente nell’impugnazione del recesso dal rapporto di lavoro e «l’unico legittimato passivo rispetto a tale impugnazione è la datrice di lavoro, che ha messo in atto l’impugnato licenziamento».

Alla luce di tali considerazioni, il giudice ha concluso per la nullità del licenziamento, in quanto intimato in violazione dell’art. 54, d.lgs. n. 151/2001, ritenendo, a fronte della rilevata nullità, irrilevante e superfluo procedere all’esame della correttezza dell’attivazione della procedura sindacale prevista dal contratto collettivo, della sussistenza del giustificato motivo oggettivo posto a fondamento del licenziamento e del rispetto dell’obbligo di repêchage. Di conseguenza, la datrice di lavoro è stata condannata alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro, salva la facoltà della medesima di optare per l’indennità sostitutiva della reintegra, al risarcimento del danno, commisurato alle retribuzioni relative al periodo intercorrente dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, nonché al versamento per il medesimo periodo dei contributi previdenziali e assistenziali.

 

A cura di Massimiliano Rosa,

Dottore e Assegnista di Ricerca presso l’Università degli Studi di Padova

 

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