Nella sentenza in commento il Giudice del Lavoro di Vicenza ha ribadito il principio secondo cui non è possibile sindacare il fine imprenditoriale perseguito dal datore di lavoro, nell’ambito di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ma, ove non venga provato l’assolvimento dell’onere cd. di repechage, vengono meno i presupposti costitutivi e giustificativi del potere di recesso datoriale.
La ricorrente, dipendente a tempo parziale dal 2008, si doleva della illegittimità del licenziamento, avvenuto nel dicembre del 2021, per giustificato motivo oggettivo, lamentando la violazione dell’onere di repechage. Allegava inoltre la natura ritorsiva del licenziamento, sostenendo che fosse dovuto al proprio stato di invalidità civile nella percentuale del 50%, comunicato un anno prima.
Le doglianze riguardavano infine la violazione dei criteri di scelta rispetto ad altri lavoratori pretesamente fungibili.
Il Tribunale del Lavoro di Vicenza ha ritenuto sussistenti le ragioni poste a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, richiamandosi al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav. 7 dicembre 2016, n. 25021), per il quale “l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore debba necessariamente provare ed il giudice accertare”. Tra le ragioni che il giudice non può sindacare vi sono anche quelle relative ad un miglioramento dell’efficienza gestionale e il Giudice del Lavoro ha considerate effettivo il processo riorganizzativo dell’impresa resistente: nessun dipendente era infatti stato adibito al ruolo rivestito dalla ricorrente.
Viene però rilevato il mancato assolvimento dell’onere della prova, gravante in capo al datore di lavoro ai sensi dell’art. 2967 c.c. e dell’art. 5 Legge 604/1966, della impossibilità del ricollocamento della lavoratrice in un’altra posizione, essendo il rispetto dell’obbligo di repechage fatto costitutivo e giustificativo del potere di recesso datoriale. Particolare importanza assume a tal fine l’assunzione di uno stagista per ricoprire funzioni di pianificazione, già svolte dalla ricorrente per dodici anni. Non è stato dimostrato che le competenze richieste per lo svolgimento delle mansioni fossero mutate, né che, per ricoprire il ruolo assegnato al neo-assunto (ex stagista), fosse richiesto un livello di inglese non posseduto dalla ricorrente.
Gli elementi prodotti dalla ricorrente non sono invece stati ritenuti sufficienti a provare la natura ritorsiva del licenziamento, godendo la stessa peraltro dei benefici previsti dalla Legge 104/92, per la patologia del figlio, già dal 2014.
Accertata la illegittimità del licenziamento per insussistenza del giustificato motivo oggettivo, il Tribunale – ricorrendo i requisiti dimensionali – ha applicato la sanzione reintegratoria ai sensi dell’art. 18 comma 7 Legge 300/70, così come risultante dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 59/21 e 125/22.
La sentenza in commento si inserisce conformemente nel filone giurisprudenziale ribadito anche recentemente dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza 1364/2025, in cui si è riaffermato che “il datore di lavoro deve fornire la prova dell’impossibilità di collocare il dipendente in altre mansioni, incluse quelle di livello inferiore, se compatibili con la professionalità acquisita”.
A cura di Pietro Mazzon,
Studente del Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Padova