Il lavoratore a distanza va computato nell’organico aziendale ai fini delle assunzioni obbligatorie.

Con interpello 9 giugno 2021, n. 3, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha fornito risposta ad un interessante quesito sottopostogli dal Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro, il quale aveva avanzato – ex art. 9 d.lgs. 23 aprile 2004, n. 124 – richiesta di chiarimenti in merito alla possibilità di escludere i dipendenti in smart working dalla base di computo dell’organico aziendale per la determinazione del numero dei soggetti disabili da assumere ai sensi dell’art. 3 l. 12 marzo 1999, n. 68.

La risposta fornita dal Ministero – che pare corretta – merita particolare attenzione sia per la delicatezza del tema trattato, sia perché pare fornire un ulteriore elemento di distinzione tra le due fattispecie del lavoro agile e del telelavoro. Infatti, pur affermando che – in linea generale – il lavoratore a distanza va computato nell’organico aziendale, il Ministero del Lavoro precisa che occorre fare un distinguo tra lavoro agile e telelavoro. In relazione a quest’ultimo, infatti, l’art. 23 d.lgs. 15 giugno 2015, n. 80 – allo scopo di favorire il ricorso a questa forma di lavoro a distanza – prevede espressamente per «i datori di lavoro privati che facciano ricorso all’istituto del telelavoro per motivi legati ad esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro in forza di accordi collettivi stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale» la possibilità di «escludere i lavoratori ammessi al telelavoro dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti». Lo stesso Ministero, con nota operativa 17 febbraio 2016, n. 970, ha peraltro precisato che «l’esclusione presuppone che i lavoratori siano ammessi al telelavoro per l’intero orario di lavoro; pertanto, ove gli stessi siano ammessi al telelavoro solo parzialmente, sono esclusi in proporzione all’orario di lavoro svolto in telelavoro, rapportato al tempo pieno». Preme inoltre sottolineare come, ai fini della non computabilità dei telelavoratori, la norma in questione ponga due requisiti concorrenti: a) che il telelavoro sia finalizzato a soddisfare esigenze di conciliazione vita-lavoro; b) che a tale istituto si faccia ricorso in virtù di «accordi collettivi stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale». La non computabilità – dunque – non è “automatica”, ma vincolata, ragion per cui, laddove manchino i presupposti di legge, anche i telelavoratori andranno computati nell’organico aziendale ai fini delle cosiddette assunzioni obbligatorie.

Ebbene, facendo leva sulle somiglianze esistenti tra i due istituti, il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del lavoro ha sostenuto che l’esclusione prevista dall’art. 23 d.lgs. n. 80/2015 potesse essere estesa dal telelavoro al lavoro agile. La risposta fornita con interpello n. 3/2021, di segno contrario, muove dall’art. 4, co. 1, l. n. 68/1999, disposizione ai sensi della quale «agli effetti della determinazione del numero di soggetti disabili da assumere, sono computati di norma tra i dipendenti tutti i lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato». Ne consegue, secondo il Ministero, che ogni eccezione a tale regola debba essere espressamente prevista. Alcune di queste eccezioni sono indicate dallo stesso art. 4, co. 1, l. n. 68/1999, altre sono contenute in altre disposizioni di legge come – ad esempio – proprio l’art. 23 d.lgs. n. 80/2015. Inoltre, proprio perché l’art. 4, co. 1, l. n. 68/1999 afferma una regola di carattere generale, secondo il ragionamento seguito dal Ministero del Lavoro, le eventuali eccezioni previste dalla legge devono ritenersi tassative ed insuscettibili di interpretazioni analogiche o estensive. Nello stesso senso – osserva il Ministero – si è del resto espressa anche la Corte di Cassazione con sentenza 4 febbraio 2016, n. 2210, riguardante la computabilità, ai fini della determinazione della quota di riserva, dei lavoratori assunti con contratto di apprendistato, decisione nell’ambito della quale la Suprema Corte ha valorizzato le numerose norme internazionali ed europee relative alla protezione delle persone con disabilità, fonti ai cui principi deve infatti conformarsi l’interpretazione del diritto interno. Pertanto, secondo il Ministero, nonostante le somiglianze esistenti tra i due istituti, in assenza di una disposizione di tenore analogo all’art. 23 d.lgs. n. 80/2015, gli smart workers non possono essere esclusi (in proporzione alla quantità di prestazione resa in modalità agili) dalla base di computo dell’organico aziendale utile a determinare il numero di soggetti da assumere ai sensi dell’art. 3, co. 1, l. n. 68/1999.

Concludendo, va evidenziato come la risposta fornita dal Ministero del Lavoro, di particolare importanza in un periodo – quello dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 – nel corso del quale si sta facendo ampio ricorso all’istituto di cui al Capo II della l. n. 81/2017, oltre a garantire l’effettività delle tutele poste a presidio delle persone con disabilità dalla l. n. 68/1999, sembri affermare una volta di più che lavoro agile e telelavoro costituiscono due fattispecie distinte e non assimilabili tra loro.

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A cura di Matteo Turrin
Assegnista di ricerca dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e Docente a contratto nell’Università degli Studi di Padova.