Principio di libertà sindacale e lavoro su piattaforma digitale

Due opposti provvedimenti del Tribunale di Firenze del 9.2.2021 e del Tribunale di Milano del 28.3.2021, in materia di lavoro su piattaforma digitale (rispettivamente prestato da rider e shopper), consentono di riflettere sull’estensione dei diritti di matrice sindacale ai rapporti di collaborazione eterorganizzata, inquadrabili nell’art. 2, d.lgs. 81/2015. Nello specifico, le pronunce esaminano la vicenda di alcune organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, escluse dalle trattative e dalla stipulazione del contratto collettivo nazionale previsto dall’art. 2, secondo comma, d.lgs. 81/2015, e la questione della legittimazione delle medesime – tramite i propri organismi locali – ad agire per la repressione della condotta antisindacale con il ricorso d’urgenza previsto dall’art. 28, l. 300/1970.

Da un lato, il decreto di accoglimento del Tribunale di Milano sembra risolvere la questione in modo forse apodittico, laddove afferma che l’estensione della disciplina del lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione eterorganizzata, prevista dall’art. 2, primo comma, d.lgs. 81/2015 ([1]), “non può che riguardare ogni profilo, sia di carattere sostanziale che processuale”. Dall’altro lato, il decreto di rigetto del Tribunale di Firenze pare appiattirsi sulla risalente pronuncia della Corte Costituzionale 17.12.1975, n. 241, che aveva statuito l’inapplicabilità tout court ai rapporti di collaborazione autonoma sia dei diritti sindacali nel luogo di lavoro che del procedimento ex art. 28, L. 300/1970.

Quali siano le tutele del lavoro subordinato effettivamente applicabili alle collaborazioni eteroganizzate è questione aperta e di grande momento, che i due provvedimenti scrutinati ripropongono in tutta la sua complessità.

Il dato letterale suggerisce un rapporto di regola-eccezione, che escluderebbe le sole tutele del lavoro subordinato “ontologicamente incompatibili con le fattispecie da regolare” (Cass. 24.1.2020, n. 1663). Pur persuasivo in linea di principio, il ragionamento della S.C., anche per il limite imposto dalle questioni proposte dalle parti processuali, non si spinge sino a meglio specificare i criteri di selezione di siffatte tutele “ontologicamente incompatibili”. Soccorre, quindi, una ricostruzione di tipo sistematico. Si ritiene che l’art 2, primo comma, d.lgs. 81/2015, debba essere letto in stretta connessione con il secondo comma della disposizione, secondo cui il “comma 1 non trova applicazione con riferimento … alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore”. Dal punto di vista strettamente logico, è quindi il trattamento economico e normativo astrattamente applicabile in base al contratto collettivo previsto dal comma 2 a perimetrare la disciplina del lavoro subordinato applicabile ai sensi del comma 1, in mancanza di determinazione delle parti collettive. Come osservato dal Giudice toscano, “diversamente opinando … non si comprenderebbe la ragione per la quale il fatto che in un certo settore le collaborazioni abbiano un determinato assetto economico e normativo loro conferito da un accordo stipulato da associazioni sindacali rappresentative … farebbe venire meno l’esigenza di applicare a esse la disciplina del lavoro subordinato”. Sul piano pratico, rimane sempre esclusa quella parte di disciplina ontologicamente incompatibile con le collaborazioni eteroganizzate, come già affermato dalla S.C., ma dal punto di vista di una fonte collettiva che opera dall’esterno sul rapporto di collaborazione eterorganizzata. In quest’ottica, ad esempio, non dovrebbe esservi alcun ostacolo all’inclusione, nella disciplina del lavoro subordinato applicabile ai sensi del comma 1, della tutela per il licenziamento illegittimo, poiché nulla osta a che il contratto collettivo previsto dall’art. 2, secondo comma, d.lgs. 81/2015 deroghi all’art. 1373 c.c. o all’art. 3, d.lgs. 81/2017, in punto di recesso dal contratto di durata, statuendo l’applicazione dell’art. 18, L. 300/1970.

Se è vero che la locuzione ‘trattamento economico e normativo’ sembra di per sé escludere i diritti derivanti dalla parte obbligatoria dei contratti collettivi, è decisivo che l’art. 2, secondo comma, d.lgs. 81/2015 presuppone esso stesso l’esistenza di un contratto collettivo e il corrispondente ampio diritto di contrattazione delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, oltre che una nutrita articolazione degli obblighi reciproci delle organizzazioni firmatarie e dei diritti sindacali nel luogo di lavoro. Qui, pertanto, risiede l’errore del Tribunale di Firenze, allorché esclude dal perimetro della disciplina del lavoro subordinato applicabile alle collaborazioni eterorganizzate tutto ciò che esula dalla “disciplina sostanziale relativa al trattamento economico e normativo dei rapporti individuali di lavoro subordinato”, senza avvedersi del contesto di riferimento e degli stessi presupposti fattuali dell’operatività del secondo comma, su cui – in modo pur metodologicamente corretto – ritiene di appoggiare l’interpretazione del primo comma.

In questo senso, è proprio l’art. 2, secondo comma, d.lgs. 81/2008 a fondare la legittimazione ad agire ex art. 28, l. 300/1970, tramite i propri organismi locali, in capo ad OO.SS. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, arbitrariamente escluse dalle trattative e dalla stipulazione del corrispondente contratto collettivo. Da questo angolo visuale, è superflua l’indagine operata dal Tribunale di Milano, allorché evince dalle stesse dichiarazioni del committente “un atteggiamento certamente volto a riconoscere un ruolo fondamentale alle organizzazioni sindacali quali controparte nella contrattazione collettiva”, poiché l’accreditamento delle organizzazioni comparativamente più rappresentative origina da una valutazione tipico-legale, operata dalla norma (v. anche le riflessioni di A. Perulli, Lavoro Autonomo e contrattazione collettiva, Il Sole 24 Ore, 20.4.2021): né l’applicabilità dell’art. 28, l. 300/1970 pare disponibile dalle parti.

Sul piano più generale dell’estensione dei diritti di matrice sindacale ai collaboratori eterorganizzati, può proporsi una triplice riflessione.

In primo luogo, finalità dell’introduzione dell’art. 2, d.lgs. 81/2015 è di “tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizioni di ‘debolezza’ economica, operanti in una ‘zona grigia’ tra autonomia e subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea” (Cass.  n. 1663/2020, cit.). Più nello specifico, pare evidente come il riconoscimento dei diritti sindacali nel luogo di lavoro, previsti dai Titoli II e III della l. 300/1970, di cui l’art. 28 rappresenta l’indivisibile corollario giudiziale, risponda alle medesime esigenze di riequilibrio del potere contrattuale delle parti del rapporto di collaborazione eterorganizzata, che ha risolto il legislatore ad estendere lo statuto del lavoratore subordinato e, anzi, ne costituisca un ineludibile strumento di effettività: ciò che apre alla possibilità che ogni sindacato nazionale, anche non comparativamente più rappresentativo, possa adire il giudice competente ai sensi dell’art. 28, l. 300/1970.

In secondo luogo, anche ove si ritenesse, sulla scia di Corte cost. n. 241/1975, cit., che solamente l’inserimento del prestatore di lavoro nell’organizzazione aziendale, e non già la situazione di dipendenza economica, giustifichi l’esercizio dei diritti sindacali in azienda, può affermarsi che la collaborazione eteroganizzata presuppone esattamente la “effettiva integrazione funzionale del lavoratore nella organizzazione produttiva del committente” (Corte d’Appello di Torino, 4.2.2019, n. 26). Sarebbe, pertanto, arbitrario escludere i diritti di matrice sindacale e il procedimento d’urgenza alla luce della chiara sdrammatizzazione qualificatoria, operata dal legislatore, proprio perché sono, essi, astrattamente compatibili con la fattispecie da regolare. Significativo della ratio legis, del resto, è il riconoscimento della negoziazione collettiva del trattamento economico e normativo dei collaboratori, nonostante il disfavore della disciplina antitrust per la rappresentanza sindacale dei lavoratori autonomi. Anche una lettura sistematica, quindi, impone di escludere l’applicazione alle collaborazioni eteroganizzate delle sole ipotesi di incompatibilità pratica (si pensi alla difficile sorte del diritto di disponibilità dei locali aziendali, introdotto dall’art. 27, l. 300/1970, in caso di organizzazione produttiva dematerializzata).

In terzo luogo, sarebbe distonica rispetto al principio di libertà sindacale, previsto dall’art. 39 Cost., l’idea di calare dall’alto lo statuto del lavoratore subordinato, senza ritagliare spazi di autonomia dei collaboratori attraverso un effettivo esercizio del contropotere sindacale nel luogo di lavoro, funzionale alla regolamentazione migliorativa degli standard legali. Se – in base alla valutazione operata dall’art. 2, d.lgs. 81/2015 – anche i collaboratori, alla pari dei prestatori di lavoro subordinato, vedono la propria sopravvivenza dipendere dall’impiego delle sole proprie energie lavorative, si impone una lettura costituzionalmente orientata della norma, che riconosca ai collaboratori medesimi la dignità che si esplica solamente nella piena libertà di partecipare alla definizione degli aspetti vitali della propria esistenza.

Sempre sul piano sistematico, del resto, appare evidente la differenza tra la fattispecie della collaborazione eterorganizzata e quella regolata dagli artt. 47 bis ss., d.lgs. 81/2015, in materia di diritti sindacali, poiché il richiamo dell’art. 47 quinquies al solo Titolo I della l. 300/1970 (“tutela della libertà e dignità del lavoratore previste per i lavoratori subordinati”), riecheggiando la richiamata sentenza della Corte Cost. n. 241/1975, sembra escludere le norme raccolte nei titoli successivi, comprese quelle relative all’esercizio dei diritti sindacali nel luogo di lavoro ed il procedimento ex art. 28, L. 300/1970.

In conclusione, lungi dal concepire il riferimento terminologico dell’art. 28, l. 300/1970 al “datore di lavoro” come opposto alla figura del ‘committente’ della collaborazione eterorganizzata ex art. 2, d.lgs. 81/2015, si propone, quindi, una lettura attualizzata della norma, che valorizzi il ruolo essenziale del procedimento d’urgenza per la piena effettività del diritto di contrattazione collettiva previsto dall’art. 2, secondo comma, d.lgs. 8/2015, dei diritti sindacali nel luogo di lavoro e, più in generale, delle prerogative delle organizzazioni sindacali, tutelate anche dalla repressione del comportamento antisindacale ‘atipico’, parimenti oggetto del procedimento d’urgenza ex art. 28, l. 300/1970.

 

([1]) “A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalita’ di esecuzione sono organizzate dal committente [anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro]. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalita’ di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”.

 

A cura di Alberto Chies
Dottorando in Diritto del Lavoro

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