A seguito del mancato rinnovo di un contratto di appalto concluso da una società interamente partecipata da capitale pubblico per la gestione di punti di cortesia e attività di backoffice connesse a pratiche commerciali del servizio idrico erogato dalla committente, tre lavoratrici della cooperativa appaltatrice precedentemente impiegate nella commessa venivano licenziate.
Le lavoratici contestavano l’atto chiedendo sia l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la società committente e la conseguente inefficacia del licenziamento, sia la condanna al pagamento di differenze retributive riconducibili alla loro assegnazione a mansioni diverse rispetto a quelle oggetto dell’appalto, sulla scorta dalla violazione del principio di parità di trattamento rispetto ai lavoratori direttamente assunti dalla società committente. Quest’ultima resisteva e richiedeva l’accertamento del diritto ad essere manlevata dalla società cooperativa datrice di lavoro, terza chiamata in causa che, a sua volta, chiedeva l’accertamento della legittimità del contratto di appalto.
Il giudice del Tribunale di Vicenza, sulla base di prove documentali e testimoniali, accertava l’illegittimità del contratto di appalto e riqualificava lo stesso come somministrazione irregolare di manodopera. All’esito dell’istruttoria risultava infatti che le lavoratrici avevano sempre svolto la prestazione lavorativa presso i locali della committente, la quale aveva affidato loro attività diverse e ulteriori rispetto a quelle individuate nel contratto di appalto, per le quali aveva provveduto ad erogare direttamente la formazione necessaria. Le lavoratrici risultavano inoltre stabilmente inserite nell’organizzazione imprenditoriale della committente, dal momento che l’interazione con il personale direttamente assunto da quest’ultima avveniva in via ordinaria e costante al fine del migliore svolgimento delle attività assegnate. Anche gli strumenti quotidianamente utilizzati nell’esecuzione della prestazione erano di proprietà della committente; infine era sempre quest’ultima a fornire indicazioni per il riconoscimento di ferie e permessi che la società cooperativa si limitava a recepire.
Sulla base di tali elementi il giudice ha ritenuto « evidente che nei fatti [la committente] si sia rivolta alla [società cooperativa] per poter disporre di personale aggiuntivo, da dedicare a funzioni ordinarie di natura identica a quella dei compiti assegnati ai propri dipendenti, e da adibire all’occorrenza anche ad attività del tutto ultronee rispetto all’oggetto del contratto di appalto rispetto alle quali il personale dipendente sia risultato insufficiente, così richiedendo non già un risultato autonomo, da integrare nella propria organizzazione attraverso un fisiologico coordinamento, ma la mera somministrazione di manodopera» (pag. 8 della sentenza in commento).
Così riqualificata la fattispecie, il giudice procedeva ad esaminare le conseguenze della violazione della previsione di cui all’art. 29, co. 1, d. lgs. n. 276/2003. Il comma 3-bis del medesimo art. 29 d. lgs. n. 276/2003 dispone infatti che, in caso di accertata illegittimità del contratto di appalto, il lavoratore può richiedere al giudice del lavoro la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione.
Si tratta però di una norma la cui applicazione al caso di specie risulta preclusa da quanto disposto all’art. 19, co. 4, d. lgs. n. 175/2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica) secondo cui «salvo quanto previsto dall’articolo 2126 del codice civile, ai fini retributivi, i contratti di lavoro stipulati in assenza dei provvedimenti o delle procedure di cui al comma 2 [ossia procedure di reclutamento del personale svolte nel rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e imparzialità], sono nulli». Le società interamente partecipate da capitale pubblico – come la committente del caso in commento – sono quindi escluse dal novero dei soggetti rispetto ai quali è prevista l’applicazione del regime sanzionatorio di cui all’art. 29, co. 3-bis, d. lgs. n. 276/2003. Di conseguenza, non è possibile per il giudice pronunciare la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato nei confronti della società committente il cui capitale sociale sia interamente costituito da risorse pubbliche e che abbia sottoscritto un contratto di appalto in violazione dei requisiti di cui al primo comma dell’art. 29 d. lgs. n. 276/2003.
Tale ricostruzione non esclude però l’accertamento del diritto delle lavoratrici ad ottenere il pagamento delle differenze retributive. Nel caso di specie, la tutela delle lavoratrici impiegate nell’ambito di un appalto non genuino si fonda sul combinato disposto delle disposizioni di cui all’art. 2126 c.c. e dell’art. 35, co. 1, d. lgs. n. 81/2015, il quale stabilisce un principio di parità di trattamento tra lavoratori somministrati e lavoratori direttamente impiegati dall’impresa utilizzatrice.
Il giudice del Tribunale di Vicenza conclude pertanto che «la domanda delle ricorrenti volta a conseguire il medesimo trattamento economico percepito da chi è assunto direttamente dall’utilizzatore va pertanto accolta, con la condanna [della committente] al pagamento alle ricorrenti delle differenze retributive rivendicate; nel calcolo andranno considerati, quale parametro per la determinazione del trattamento “non inferiore”, i livelli indicati in ricorso del CCNL Gas e Acqua […]. Ciò sia con riferimento alle retribuzioni mensili che ai premi di risultato pacificamente riconosciuti “a pioggia” ai dipendenti [della committente], che possono ritenersi coperti dalla previsione normativa citata in quanto inclusi nelle condizioni economiche dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore» (pag. 12 della sentenza in commento).
Da ultimo viene accertata la responsabilità solidale tra committente e appaltatore, con condanna di quest’ultimo a rifondere le spese sostenute dalla committente a seguito dell’accoglimento del ricorso proposto dalle lavoratici.
A cura di Giovanna Zampieri – Dottoranda di ricerca in Diritto internazionale privato e del lavoro presso Università degli Studi di Padova