Con la sentenza in commento, la Corte di legittimità è tornata a occuparsi della complessa tematica relativa alla qualificazione giuridica delle aziende speciali previste dall’art. 114 del D.Lgs. n. 267/2000 (c.d. Testo Unico Enti Locali), ai fini dell’applicazione della corretta disciplina giuslavoristica ai rapporti di lavoro con queste in essere.
Nel caso specifico, alcuni lavoratori e un dirigente di un’azienda di promozione turistica provinciale avevano impugnato il licenziamento loro intimato a seguito di una procedura di licenziamento collettivo espletata ai sensi della L. n. 223/1991.
A fondare la contestazione degli ex dipendenti era la ritenuta natura pubblicistica del loro rapporto che, come noto, impedirebbe l’applicazione delle procedure di cui alla L. n. 223/1991. Gli enti comunque riconducibili alla definizione di cui all’art. 1, c. 2, del D. Lgs. n. 165/2001 sarebbero, infatti, tenuti a gestire eccedenze di personale tramite le differenti modalità previste dall’art. 33 del c.d. Testo Unico sul Pubblico Impiego.
Essendo stato introdotto il giudizio, ratione temporis, ai sensi della L. n. 92/2012, in primo grado, il Giudice respingeva integralmente le domande dei ricorrenti sia in fase sommaria, che in sede di opposizione.
A seguito di reclamo avanti la Corte d’appello veniva invece accolto il ricorso del solo dirigente, che aveva agito assieme ai dipendenti in ragione della connessione oggettiva impropria delle diverse impugnazioni. La Corte, in particolare, pur ritenendo che la L. n. 223/1991 fosse stata correttamente applicata alla fattispecie in esame, riteneva però disatteso il disposto di cui all’art. 24, c. 1-quinquies della medesima legge (introdotto dall’art. 16 della L. n. 161/2014 e poi modificato dal D.Lgs. n. 14/2019), per aver il datore di lavoro omesso la prevista comunicazione di avvio delle procedure di licenziamento collettivo alle organizzazioni sindacali rappresentative dei dirigenti.
L’Azienda ricorreva contro questa sola statuizione, contestando, in sostanza, ogni omissione informativa; la dovuta comunicazione era infatti stata indirizzata a sigle sindacali che, nei fatti, avevano sottoscritto sia il contratto collettivo per il personale, che quello dei dirigenti.
Oltre a resistere con controricorso, il dirigente e gli altri lavoratori proponevano altresì ricorso incidentale sia per contestare la misura dell’indennità concessa in sede d’appello al dirigente, sia, più radicalmente, per veder riformata la statuizione sulla qualificazione dell’Azienda quale ente pubblico economico, qualificazione da cui era discesa appunto la ritenuta legittimità dell’applicazione della L. n. 223/1991 ai rapporti litigiosi.
Dichiarata l’inammissibilità dell’impugnazione incidentale tardiva del personale non dirigenziale –il gravame proposto dal datore di lavoro riguardava infatti la sola posizione del dirigente e non dei suoi litisconsorti (facoltativi), così non creandosi un interesse per i lavoratori nascente dall’impugnazione stessa – la Cassazione accoglieva il solo motivo riconducibile alla qualificazione giuridica del datore di lavoro ai fini giuslavoristici, rigettando quindi il ricorso principale dell’Azienda ed accogliendo le ragioni del solo dirigente.
A tal fine, nel disporre il rinvio alla Corte d’appello in diversa composizione, la Corte di legittimità richiamava il più che consolidato indirizzo secondo cui “Un ente pubblico può essere ritenuto di natura economica soltanto se produce, per legge e per statuto, e non in via di mero fatto, beni o servizi con criteri di economicità, ossia con equivalenza, almeno tendenziale, tra costi e ricavi, analogamente a un comune imprenditore; ove – invece – un ente sia destinato a perseguire normativamente molte finalità con finanziamenti dello Stato e degli enti consorziati, diversi dai corrispettivi ottenuti, la gestione, comunque, non è economica, indipendentemente dall’utilizzazione concreta di tali finanziamenti (Cass. SS.UU. n. 1132 del 2000, pure richiamata da Cass. n. 27240/2024)”.
Erronea veniva, dunque, ritenuta la valutazione dei giudici di merito. Gli stessi, infatti, – pur in presenza di indici statutari del tutto coerenti con una piana qualificazione di ente pubblico non economico dell’Azienda – avevano invece valorizzato l’attività concretamente svolta dal datore di lavoro per dedurne la natura economica, peraltro ignorando plurime circostanze fattuali che rendevano palese l’esercizio “fuori mercato” delle attività dell’Ente e totalmente ancillari gli introiti derivanti dai servizi agli utenti (erogazione di servizi per fini sociali di sviluppo della comunità locale, collaborazione con altri enti pubblici territoriali, indirizzo della gestione determinata dalla Provincia e coordinata con i suoi atti di programmazione turistica, equilibrio costi-ricavi garantito tramite l’apporto determinante dei finanziamenti pubblici).
Confermato quindi il consolidato orientamento che considera “le aziende speciali vere e proprie articolazioni delle pubbliche amministrazioni e [che]conforma, pertanto, sotto taluni specifici profili applicativi, la disciplina del rapporto, pur privatistico, a principi propri dell’impiego pubblico privatizzato”, starà nuovamente ai giudici di secondo grado rivalutare la cessazione del rapporto del solo dirigente operata dall’Azienda ai sensi di una disciplina, quella della L. n. 223/1991 pacificamente non applicabile a rapporti anche solo parzialmente disciplinati dalle disposizioni in tema di pubblico impiego privatizzato.
A cura di Matteo Attanasio – Dottorando di ricerca in Diritto internazionale privato e del lavoro presso Università degli Studi di Padova