Anche il licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica alla mansione rientra nel c.d. “blocco” dei licenziamenti

Il Tribunale di Ravenna, con sentenza del 7 gennaio 2021, n. 578, ha ordinato la reintegra e il pagamento di tutte le retribuzioni non percepite fino all’effettivo ritorno in servizio a favore del lavoratore licenziato in data 30 aprile 2020 per sopravvenuta inidoneità fisica alla mansione, includendo anche questa fattispecie nella categoria dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo soggetta al divieto di cui all’art. 46 del decreto c.d. “Cura Italia” (d.l. n. 18/2020, conv. in l.n. 27/2020).

Il Giudice, conformandosi a giurisprudenza e dottrina consolidate, ha ritenuto che il licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta, non rientrando nell’alternativa categoria del licenziamento disciplinare, debba per esclusione ricondursi ad un’ipotesi di licenziamento per motivo oggettivo.

Si è tuttavia discusso tra le parti se tale fattispecie di licenziamento rientrasse nella ratio del divieto previsto dalla normativa emergenziale. In particolare, parte convenuta ha sostenuto che il licenziamento per sopravvenuta inidoneità alle mansioni “non ha natura di licenziamento economico in senso stretto” e non è conseguenza delle “misure restrittive del Governo per fronteggiare l’epidemia in corso”. Applicare il divieto anche a tale fattispecie, sempre a detta di parte convenuta, sarebbe una violazione del diritto alla libera iniziativa economica tutelata dall’art. 41 della Costituzione.

Al contrario, il Tribunale di Ravenna ha ritenuto che si debba concludere per l’applicabilità del c.d. “blocco dei licenziamenti” previsto dalla normativa emergenziale al licenziamento per sopravvenuta inabilità del lavoratore “non solo perché tale motivo di licenziamento è indubbiamente oggettivo”, “ma anche perché, in concreto, per tale licenziamento valgono le stesse ragioni di tutela economica e sociale.”

Il Giudice sostiene tale conclusione evidenziando che anche per il lavoratore divenuto inidoneo alla mansione è necessaria l’adozione di misure organizzative da parte del datore di lavoro, il quale ai sensi del T.U. Sicurezza (art. 42, D.lgs. n. 81/2008), è tenuto a verificare la possibilità di ricollocare il lavoratore a mansioni diverse, anche inferiori. Si ritiene quindi che solo all’esito del superamento della crisi il datore di lavoro potrà effettivamente verificare la possibilità di ricollocare il lavoratore all’interno della propria organizzazione d’impresa.

Inoltre, il Giudice pone in evidenza che la legge non prevede alcuna “prova di resistenza”, dovendosi quindi concludere che ogni valutazione in merito all’inoccupabilità del lavoratore sia già stata compiuta e esaurita dal legislatore.

Il Giudicante, infine, ha tenuto a precisare che non vi sono “problemi di costituzionalità circa la durata attualmente assunta dal blocco dei licenziamenti, posto che il licenziamento è avvenuto nella prima vigenza del blocco”.

Pertanto, il Tribunale di Ravenna ha concluso per la nullità del licenziamento per violazione di una norma imperativa, con conseguente applicazione della tutela reale prevista dall’art. 2, comma 1, del D.lgs. n. 23/2015, senza che per l’applicazione di tale tutela rilevi il numero dei dipendenti della società datrice di lavoro.

a cura di Dario Campesan – Dottore in giurisprudenza nell’Università degli Studi di Padova

 

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