Obbligo di fedeltà e divieto di comportamenti potenzialmente lesivi dell’interesse datoriale

La recente ordinanza del Tribunale di Modena interviene a ribadire l’estensione dell’obbligo di fedeltà nell’ambito del rapporto di lavoro.

Nello specifico, il dipendente di una società italiana, che rivestiva anche il ruolo di gérent all’interno di una società francese, tentava di depositare in Francia un marchio avente una denominazione in gran parte coincidente a quello della datrice di lavoro italiana. Questa, ritenendo la condotta lesiva dei propri interessi, tanto da compromettere il rapporto fiduciario con il lavoratore, intimava allo stesso il licenziamento per giusta causa.

La pronuncia conferma la correttezza della valutazione effettuata dalla datrice di lavoro, e ribadisce, sulla scorta dell’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, che l’obbligo di fedeltà gravante sul lavoratore subordinato dev’essere collegato ai principi generali di correttezza e buona fede, precludendo pertanto ogni condotta, anche non espressamente vietata, che si ponga in contrasto con i doveri connessi all’inserimento del lavoratore nell’impresa e risulti anche solo potenzialmente produttiva di danni in capo alla stessa.

Facendo applicazione di tali principi, il Tribunale afferma che il comportamento del lavoratore integri una violazione dei principi di correttezza e buona fede, evidenziando che ogni valutazione sulla possibilità di porre in essere condotte potenzialmente contrastanti con l’interesse della società debba essere rimessa alla società stessa.

Ulteriore aspetto che viene trattato nella pronuncia è quello relativo al principio di immediatezza della contestazione disciplinare: nel caso di specie il Tribunale giudica che il decorso del termine di tre mesi dalla scoperta dei fatti, dovuto alla scelta della datrice di lavoro di attendere la definizione del procedimento di opposizione alla registrazione del marchio per effettuare la contestazione disciplinare, non sia stato tale da ingenerare nel lavoratore un affidamento circa l’acquiescenza del datore di lavoro in ordine al suo comportamento, né da determinare una dispersione delle prove; ritiene dunque che non vi sia stata una violazione del principio di immediatezza.

 

a cura di Maria Laura Picunio – Dottoressa di ricerca in diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Padova

 

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