Il 10 febbraio 2022, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata sulla corretta interpretazione della direttiva 2000/78/CE riguardante la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro. Nello specifico, la questione riguarda l’interpretazione dell’art. 5 della direttiva medesima, il quale stabilisce che il divieto di discriminazione dei disabili impone al datore di adottare “soluzioni ragionevoli” che consentano al lavoratore disabile di accedere a un lavoro e di svolgerlo, nonché di ottenere promozioni o ricevere una formazione in condizioni di parità, sempreché ciò non comporti in capo al datore un onere finanziario sproporzionato.
Il ricorrente del giudizio a quo viene assunto quale agente tirocinante per la manutenzione delle linee ferroviarie belghe. Successivamente all’inizio del tirocinio, al ricorrente viene diagnosticata una patologia cardiaca per la quale si rende necessario l’impianto di pacemaker, con la conseguenza che il lavoratore diviene inidoneo a svolgere la mansione di iniziale assunzione in quanto particolarmente suscettibile ai campi elettromagnetici cui è tipicamente esposto un agente di manutenzione delle linee ferroviarie. Il ricorrente viene dunque riconosciuto disabile dal Servizio pubblico federale per la previdenza sociale del Belgio e, in un primo momento, è riassegnato alla mansione di magazziniere.
Nonostante tutto, poco tempo dopo il datore lo licenzia, con la precisazione che la definitività della condizione di totale impossibilità di proseguire le mansioni comporta la fine del periodo di tirocinio. Il rilievo non è di poco conto in quanto, in base allo statuto e al regolamento applicabili al personale delle Ferrovie belghe, i tirocinanti riconosciuti disabili, a differenza dei lavoratori assunti in via definitiva, non beneficiano di una riassegnazione all’interno dell’impresa.
Il lavoratore impugna il licenziamento dinanzi al Consiglio di Stato belga, il quale si trova a nutrire dei dubbi circa la corretta interpretazione dell’art. 5, dir. 2000/78/CE. Nello specifico, il Giudice belga si domanda se tra le “soluzioni ragionevoli per i disabili”, di cui al citato articolo, possa essere annoverata l’assegnazione ad altro posto a beneficio del lavoratore, anche tirocinante post-assunzione, che a causa della propria disabilità sia dichiarato inidoneo a svolgere le funzioni essenziali delle mansioni per le quali è stato assunto; ciò, naturalmente, purché il lavoratore abbia le competenze, le capacità e le disponibilità richieste per il posto alternativo e sempreché la misura non imponga al datore un onere sproporzionato.
La Corte di Giustizia, interpellata con rinvio pregiudiziale, risponde affermativamente. Pertanto, da un lato viene affermato che la tutela del lavoratore disabile riguarda anche i tirocinanti, i quali sono inclusi nella nozione di lavoratore (si v. anche CGUE 9 luglio 2015, Balkaya, C-229/14, punto 50). Da un altro lato la Corte fornisce un’indicazione su come tradurre in concreto l’espressione “soluzioni ragionevoli per i disabili” utilizzata dall’art. 5 della direttiva 2000/78/CE.
Va ricordato che alla direttiva in questione è seguita la Convenzione ONU del 13 dicembre 2006, la quale parla della necessità di adottare “accomodamenti ragionevoli” per i disabili. Sia nel caso della direttiva che in quello della Convenzione (v. artt. 2 e 27) le formule utilizzate sono generiche e si prestano ad essere variamente declinate a seconda del caso concreto. In Italia, dove il riferimento agli “accomodamenti ragionevoli” è rinvenibile nell’art. 3, co. 3-bis, d. lgs. 216/2003, la Corte di Cassazione ha più volte precisato come il datore che intenda licenziare il lavoratore per sopravvenuta inidoneità fisica sia tenuto a verificare che non esista possibilità alcuna di ricorrere ad un accomodamento ragionevole inteso come adattamento organizzativo del luogo di lavoro (v. Cass. civ., sez. lav., 9 marzo 2021, n. 6497; Cass. civ., sez. lav., 19 dicembre 2019, n. 34132; Cass. civ., sez. lav., 21 maggio 2019, n. 13649; Cass. civ., sez. lav., 26 ottobre 2018, n. 27243; Cass. civ., sez. lav., 19 marzo 2018, n. 6798).
Si ricorda infine che la legge delega del 22 dicembre 2021, n. 227 (art. 2, co. 2, lett. a, n. 5), di riforma in materia di disabilità, ha incaricato il Governo di fornire una definizione di “accomodamenti ragionevoli” all’interno della l. 104/1992, «prevedendo adeguati strumenti di tutela coerenti con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità».
A cura di Arianna Pavin – Dottoranda di ricerca nell’Università degli Studi di Padova